Emissioni: politiche deboli, C02 forte.
Dopo i lockdown le emissioni di gas serra registrano un forte rialzo.
La pandemia nel 2020 ha comportano una significativa decrescita delle emissioni di CO2 che hanno rilevato un tasso di diminuzione del 5,4%. Tuttavia, l’avvenimento è stato momentaneo. Uno studio condotto da Global Carbon Project, organizzazione sul monitoraggio delle emissioni globali, ha evidenziato come nel 2021-2022 ci sarà un preoccupante incremento dei gas serra in tutto il mondo. I ricercatori affermano che un incremento era prevedibile dopo la stagione dei lockdown, ciò che spaventa però è stata la velocità con cui è avvenuto. In pochi mesi le quote di emissioni hanno raggiunto il record storico registrato dopo la crisi finanziaria del 2008-09 intorno ai 5,5%.
La causa principale di questo trend in rialzo della CO2 è strettamente legato all’incremento dell’utilizzo di combustibili fossili, gas e carbone. Secondo le prime stime, mantenendo e quantità medie di utilizzo odierne, verrebbe raggiunto entro un decennio il limite del budget del carbonio per contenere l’aumento delle temperature a +1,5 gradi.
Le decisioni prese durante la Cop26 di Glasgow non sono rassicuranti. Il passo indietro fatto riguardo le politiche di limitazione dei combustibili dimostrano ancora una volta come molti sistemi economici, soprattutto emergenti, ne siano ancorati. Da “phase out” a “phase down” (da “eliminazione” a “riduzione”) dei combustibili, questa è la principale sconfitta delle politiche mondiali sul clima, non solo terminologica. A pesare su questo risultato negativo è anche l’assenza di proposte coordinate di valide alternative energetiche: dal nucleare all’idrogeno fino alle classiche rinnovabili, mancano a livello globale soluzioni valide per sostenere una transizione energetica repentina, con il rischio sempre più imminente di vedere procrastinate le politiche sul clima.
Questa situazione sta comportando infatti l’aumento dell’incidenza delle emissione da parte dei più grandi sistemi economici. Cina, India, Stati Uniti ed Europa i principali protagonisti che segneranno entro la fine dell’anno un aumento tra il 5 e il 12% dei primi due, contro un 7-8% per gli ultimi.