Reti fantasma. L’inquinamento invisibile dei nostri mari.
In tutto il mondo gli attrezzi da pesca che vengono abbandonati, persi o altrimenti scartati sono circa il 2% di quelli utilizzati: circa 80 mila chilometri quadrati di reti, 800 chilometri di palangari e circa 25 milioni di nasse, secondo una ricerca realizzata dall’Università Australiana in collaborazione con quella della Tasmania.
Gli attrezzi da pesca perduti rappresentano una notevole fonte di inquinamento marino globale, circa il 46% della spazzatura marina, con impatti negativi sulla fauna selvatica, sugli habitat marini e costieri e sulla sicurezza alimentare. Le reti fantasma continuano a “pescare passivamente” intrappolando pesci, tartarughe e grandi cetacei. Questi animali, non potendosi più muovere, muoiono di fame oppure a causa delle lacerazioni prodotte dagli attrezzi stessi. Solo nel Mediterraneo, si stima che oltre 40 diverse specie di organismi marini rimangano intrappolati nelle nelle ghost gears.
Le reti fantasma, inoltre, soffocano e desertificano fondali e interi ecosistemi marini e sono una fonte invisibile di inquinamento, poiché con il tempo si sminuzzano e rilasciano microplastiche in mare. Se in passato le reti erano realizzate in fibre naturali, come il cotone e la canapa, oggi invece il materiale più utilizzato è una fibra sintetica derivante dalla plastica.
Le principali organizzazioni internazionali, tra cui l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) delle Nazioni Unite (ONU), l’Organizzazione marittima internazionale e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), hanno sviluppato una serie di misure legislative per prevenire e ridurre il fenomeno, compreso il supporto alla marcatura e al tracciamento degli attrezzi, la segnalazione e il recupero di attrezzi persi, la regolamentazione delle pratiche di pesca distruttive, la minimizzazione degli eventi di inquinamento e il miglioramento nelle strutture portuali di raccolta degli attrezzi a fine vita.